Colti e mangiati

Il termine “cultura”, come molti vocaboli della nostra lingua madre, si presta a specifici e più articolati significati a seconda del contesto in cui viene declinato e al sostantivo/aggettivo/complemento a cui si accompagna.

In senso assoluto, l’etimologia della parola deriva dal latino “colere” che vuol dire “coltivare”. Coltivare sapienza, conoscenze, arte e raccoglierne i frutti all’atto della maturazione. Il termine può ovviamente essere declinato nella sua accezione negativa se anticipato dal prefisso “sub” (o “sotto”), indicare retropensieri e riserve se utilizzato con la formula politichese della “cultura del sospetto”, alludere a tendenze alternative se segue la parola “contro”, evidenziare massificazione se unito all’aggettivo “dominante”, trasmettere apertura mentale se anticipato da “multi”.

Sono solo alcuni esempi per descrivere l’uso molteplice, vario e eterogeneo della parola “cultura”. L’uso o l’abuso, a seconda dei casi e delle circostanze.

Primo esempio di negazione dell’applicazione della “cultura”: in occasione delle recenti nomine in seno alla Rai, che di “cultura” dovrebbe farsi promotrice in quanto servizio pubblico, sarei propenso a etichettare l’operazione col sigillo dello “spoil system” che, per definizione, di culturale non ha nulla. Anzi. Nella fattispecie l’orientamento “renziano”, volto all’esaltazione della sua figura badando più alla forma che alla sostanza (posto che ve ne sia…), è proteso all’omologazione (esatta antitesi della pluralità di “culture”) di pensiero e di azione in previsione del referendum sulle riforme costituzionali del prossimo autunno. Della serie, non disturbate il manovratore.

Secondo esempio di distorsione del termine “cultura”: la scorsa settimana, scrivendo di Stato Islamico, avevo definito lo scontro in atto non guerra di religione ma scontro di “culture”. Quella islamica è una cultura che merita assoluto rispetto, quella che l’Isis cerca di spacciare per “cultura islamica” è un sottoprodotto violento e becero privo di ogni basamento filosofico che di norma sorregge ogni civiltà. L’ennesimo atto violento in Europa ad opera di uno squilibrato accoltellatore, questa volta nella “multi culturale” Londra, verrà a breve rivendicato dal sedicente Stato Islamico: vogliamo scommettere? Non passerà molto che l’Isis rivendicherà i tamponamenti tra automobili, le liti tra colleghi, i battibecchi tra massaie in coda dal salumaio e le chiacchiere invidiose dal parrucchiere.

Dopo tanta bruttezza, un esempio positivo della parola “cultura”. La città di Cosenza è candidata, insieme ad altre 20 città italiane, al ruolo di Capitale Nazionale della Cultura per il 2018. Un riconoscimento importante e prestigioso già l’essere stati inseriti nell’elenco dal quale uscirà, entro il prossimo mese di gennaio, la città vincitrice. I complimenti a chi ha creato le condizioni e i presupposti per mirare così in alto restituendo prestigio e valore all’Atene di Calabria terra di Bernardino Telesio, sono doverosi e meritati. Incrociamo le dita, consapevoli delle enormi responsabilità e dei grandi benefici in termini di visibilità e impatto culturale che un’eventuale designazione di Capitale Italiana della Cultura 2018 avrebbe per la nostra città.

In bocca al lupo, Cosenza!