Il momento più brutto è sempre alla fine. Come si dice, “il veleno sta nella coda”. Quando si spengono le luci, quando tutti vanno via, quando si rimane da soli a riflettere. Quando mi tocca sbaraccare tutta la coreografia fatta di sciarpe, vessilli e magliette appese nel mio salotto di casa. Quando mi levo la divisa ufficiale, la raccolgo per bene e la ripongo come una reliquia, insieme al resto del materiale bianconero, nell’armadio dedicato alla passione calcistica.
Non mi va di dilungarmi in analisi tattiche, l’ho fatto per un’intera stagione, ho scritto e commentato tutte le partite ufficiali della “mia” Juve, tra campionato, coppa Italia e Champions. Più di cinquanta articoli, conservati in questo sito-blog. Stasera, con l’amaro in bocca e tutta la delusione di questo mondo che ancora mi invade la pancia, dico solo che il Real ha meritato di vincere la coppa. Nessun problema ad ammettere la sconfitta, nessuna recriminazione da fare, nulla da eccepire agli sfottò dei rivali di sempre: è il bello e il brutto del calcio, funziona così, chi non ci sta che si dedichi al curling. Di certo, sarà un problema chiudere occhio stanotte…
Un primo tempo così così, il gran goal di Mandzukic per riequilibrare il risultato dopo il passivo iniziale ad opera di CR7, poi il crollo nel secondo tempo. Chiamiamola maledizione Champions, appelliamoci alla disabitudine ad imporci su certi palcoscenici, proviamo a giustificarla in tutti i modi possibili. La realtà è che, come sempre, nel calcio vince il più bravo, e stasera il Real è stato nettamente più forte della Juventus.
C’avevo sperato e c’avevo creduto. E’ andata male, peccato.
Non c’è nulla da rifondare, tutt’al più da migliorare a livello di organico (e non sarà semplice) per poter competere con certe corazzate europee come Real, Barcellona e Bayern Monaco: società che, grazie ai tanti introiti, riescono ad allestire rose di primissimo livello. Non è un caso che negli ultimi cinque anni, la Champions l’abbiano vinta il Real per quattro volte e il Barcellona, andando più indietro il Bayern, il Chelsea del multimiliardario russo Abramovic e ancora prima di nuovo il Barça. Il calcio è cambiato, forse è meno romantico rispetto a una ventina d’anni fa, oggi è più programmazione e gestione manageriale, ma riesce pur sempre ad emozionare, anche quando si tratta di commentare una sconfitta. La differenza di valori, in campo europeo, è data dalla capacità di investire grosse somme coniugando le spese con la qualità e la competenza. C’è chi, come il Real, lo fa attingendo all’indebitamento bancario, chi come il Bayern tenendo in ordine i bilanci grazie agli introiti provenienti dallo stadio e dal merchandising, chi come il Barcellona avvalendosi dello strumento dell’azionariato popolare. La capacità di investire bene (quella che, per esempio, manca al Psg e al Manchester City) marca distanze e differenze. Un po’ quello che accade in Italia, dove la Juve vince per netto distacco grazie alla lungimiranza gestionale che negli ultimi anni ha garantito l’enorme crescita del fatturato e investimenti strutturali intelligenti. Può bastare entro i confini nazionali, ma l’Europa delle grandi è ancora lontana.
Si chiude con una sconfitta amarissima, la settima in finale di Champions-Coppa dei Campioni, una stagione memorabile, impreziosita dalla conquista del sesto scudetto consecutivo e della terza Coppa Italia di fila, tris di double (accoppiata scudetto-coppa nazionale), che non lascia dubbi sullo strapotere bianconero entro gli italici confini. Altra amara considerazione: se la società italiana più organizzata, capace di allestire la formazione più competitiva, non tiene il passo delle grandi d’Europa, le altre storiche rivali nostrane a che livello devono essere collocate?
Di finali di Champions-Coppa Campioni ne ho perse sei su sette, non essendo nel 1973 per ragioni anagrafiche in grado di comprendere né di tifare: da Atene in poi contro l’Amburgo, me le accuso tutte. Ora è il momento di metabolizzare la sconfitta, elaborare il lutto, leccarsi le ferite, sopportare ironie e sfottò. Ci riproveremo l’anno prossimo, e se andrà male, l’altro anno ancora, e poi di nuovo, “fino alla fine”. Ma sarà bello comunque, perché è bello il calcio, perché riesce ad emozionare, a suscitare passioni intense, a far vivere sentimenti profondi, sia che si vinca sia che si esca sconfitti. Chi non lo segue non può capire, non può immaginare, non sa cosa si perde. Sicuramente perde la possibilità di continuare a sentirsi bambino, a godere ancora delle qualità che solo la gioventù sa dare. Gioventù come Juventus…
FINO ALLA FINE!!! FORZA JUVE!!!