Heysel. 30 anni dopo

Post del 29/05/2015.

Primo ragioneria, e’ fine maggio, le vacanze estive finalmente a portata di mano.

E’ mercoledì, torno a casa euforico per la partita che da li a qualche ora guarderò in tv. Come d’abitudine preparo la coreografia nel soggiorno di casa, sciarpe, stendardi, striscioni di carta appesi sui mobili, la stanza e’ tutta bianconera. E’ la mia seconda finale, la prima due anni addietro andò male e lasciò tanta delusione ad Atene, contro l’Amburgo.

C’è tanta attesa, tanta fiducia. E’ la Juve di Cabrini, di Scirea, di Boniek, di Tardelli, di Paolo Rossi ma soprattutto di Platini per il quale nutro un’autentica venerazione.

Le ore pomeridiane sembrano non passare mai, l’ansia divora l’attesa, l’atmosfera e’ trepidante. Quando il collegamento video da Bruxelles ha inizio, la Rai manda in onda immagini inedite, inaspettate, strane. Tifosi che scappano, che urlano, che piangono. Sangue sulle sciarpe e sulle bandiere. Bianco nero e rosso sangue. Non mi capacito, soffro, non riesco a capire, ho paura anche stando a migliaia di km di distanza.

Le parole di Scirea informano che la partita avrà inizio. Il peso e l’angoscia non lasciano spazio ad altri sentimenti.

A 30 anni di distanza quella tragedia e’ ancora viva nel ricordo e nelle immagini di un ex bambino di 15 anni che andò a dormire con il terrore di chi era stato derubato di un sogno, di chi aveva visto una favola trasformarsi in orrore e in incubo.

La tragedia dell’Heysel e la brutalità bestiale degli uomini.