Non so voi, ma io già me l’immagino il grande giorno, tra una ventina d’anni. Sarà certamente di domenica, e sarà un giorno memorabile.
Alla presenza delle più alte cariche civili e religiose, con le frecce tricolori a dominare un cielo terso illuminato da un sole abbagliante, perché l’inaugurazione avverrà di giugno. Con le televisioni di tutto il mondo a raccontare in diretta lo storico evento, la folla festante sulle opposte sponde a sventolare le bandiere, i bambini eccitati con una mano a tenere il palloncino stilizzato creato per l’occasione da fantasiosi designer e con l’altra a stringere quelle di genitori rigorosamente etero, frutto della straordinaria campagna “fertility” di quegli anni ruggenti. E poi le bancarelle di souvenir, il massiccio spiegamento di forze dell’ordine, la banda musicale, i fotografi impazziti, gli inviati dei maggiori tabloid internazionali a registrare emozioni elargite a piene mani dalle parole di politici illuminati e vescovi solennemente impegnati nel cerimoniale della benedizione. Il Governo al gran completo, ministri e sottosegretari nel rispetto del protocollo previsto per le grandi occasioni. E chi lo sa, magari sarà presente anche il “Pontefice” nella veste più etimologica possibile, chi può dirlo. E forse, anzi sicuramente, sarà allestito un gigantesco palco per i Capi di Stato stranieri sulla piattaforma di una portaerei ormeggiata in prossimità del punto esatto dove il Presidente della Repubblica e il Premier taglieranno il nastro dell’inaugurazione. Ci saranno gli ospiti d’onore, personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura, della musica e dello sport. Con un po’ di fortuna anche qualche premio Nobel. Saranno scoperte due lapidi commemorative, una per ingresso, in ricordo degli operai vittime di qualche incidente sul lavoro verificatosi nel corso degli anni durante la realizzazione dell’opera faraonica: un tocco di cordoglio sparso qua e là non guasta mai. Ma complessivamente ci sarà da festeggiare, perché l’attuazione del maestoso progetto ha avuto il grande merito di portare pane e lavoro (precario, sottopagato e a tempo determinato, non si può mica pretendere tutto) a centinaia di migliaia di famiglie. L’inno nazionale, il pistolotto ufficiale con tanto di omaggio a chi, per primo, aveva profetizzato l’opera, ricordando un grande statista incompreso purtroppo scomparso prima che la meraviglia giungesse a compimento, e subito dopo il riconoscimento a colui che, ancora saldamente al comando, ha avuto l’ardire di riproporre il sogno. E al termine del rituale, in un tripudio di musica e di colori, di coriandoli e fuochi d’artificio, ladies and gentleman, madame et monsieur, signore e signori, ecco il vostro “ponte”.
L’opera che avete sempre desiderato, quella che vi farà andare orgogliosi in giro per il mondo, la magnificenza che permetterà di esportare il vero e autentico significato del made in Italy a tutte le latitudini. Il “ponte” che unirà culture e coscienze, che accorcerà ogni distanza fisica annullando differenze e arretratezze.
Ma ci pensate? Un gigantesco “ponte” che unirà la Libia alla Sicilia e che permetterà, a quanti vorranno, di evitare quelle drammatiche traversate marittime che tante vittime hanno prodotto nei primi anni del millennio. Basta scafisti, stop ai barconi pieni di miserabili, fine della squallida e vergognosa tratta di esseri umani. E nell’occasione, al fine di rendere memorabile il sensazionale evento, verranno varate alcune misure a tema, di carattere straordinario, tese a migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini: 1) istituzionalizzazione per decreto di tutti i “ponti” festivi, senza la necessità di dover litigare con il capoufficio di turno; 2) gratuità dei “ponti” dentali per chiunque ne avesse necessità; 3) sostituzione del primo articolo di quel che rimane della Costituzione Repubblicana, modificata nel profondo dal referendum di quel lontano 4 dicembre, con la strofa della famosa cantilena “Ponte ponente ponte pì”; 4) individuazione del paesino di “Ponte” di Legno come roccaforte di resistenza italica in opposizione all’ignobile campagna xenofoba portata avanti da oltre un ventennio dai razzisti cittadini del Canton Ticino; 5) nota di merito a chi, a qualunque livello accademico nell’ambito della nuova rivoluzionaria riforma scolastica che ha azzerato didattica e metodo, faccia largo uso delle espressioni “tagliare i ponti”, “fare ponti d’oro”, “testa di ponte” e “bruciare i ponti”.
Chi l’avrebbe mai detto? Chi ci avrebbe scommesso?
Nella fervida attesa del gran giorno, per adesso ci accontentiamo del “Ponte” sullo Stretto, che avrà il gran merito di collegare e unire in un delirio collettivo le masse disperate di Calabria e Sicilia. Il business plan è già pronto, i capitali e le imprese li fornisce la mafia, la manodopera in nero e sottopagata la fame e la miseria, la destinazione d’uso è chiara perché l’utilità dell’infrastruttura non si discute considerata l’efficiente viabilità stradale e ferroviaria delle due regioni in causa, e in ultimo, sul versante della sicurezza antisismica, saranno adottati gli stessi criteri già brillantemente sperimentati in tutto il resto del Paese. Con tali premesse c’è poco da “pontificare” anche per gli ecologisti, solo balle quelle sull’impatto ambientale e sull’inquinamento che deturperebbe questo meraviglioso ma spoglio scorcio di Mediterraneo. Non si sbatte la porta in faccia al progresso. Davvero una bella trovata quella di unire l’idea dei centomila posti di lavoro con la costruzione del “ponte”. Ma manca ancora un tassello: se fosse possibile rintracciare la nipote di Mubarak per la posa della prima pietra, a quel punto la scenografia sarebbe perfetta.