Bullismo, diversità, Umberto Eco e Pietro Mancini

Il mese breve sta per volgere al termine, e con esso anche i giorni freddi e corti di una stagione che adoro. E’ vero, l’inverno chiuderà ufficialmente i battenti il 21 marzo e fino a primavera inoltrata l’aria fresca al mattino e alla sera continuerà a preservarci dal caldo e dalle allergie ai pollini, tuttavia il pensiero di lunghe giornate sempre più assolate non mi conforta, tutt’altro. Lo so, rappresento un’anomalia o, tutt’al più, l’esemplare di una ristretta minoranza, ma chi l’ha detto che le posizioni minoritarie sono portatrici di idee inesatte o negative? Non sempre chi nuota controcorrente, per convinzione e non per comodo anticonformismo di maniera, nuota nella direzione sbagliata. Anzi, spesso la storia ci ha insegnato esattamente il contrario. Le idee, quelle più rivoluzionarie, in prima battuta risultano spesso strampalate e inattuabili. E così pure i gusti, le preferenze, gli orientamenti caratteriali: quando si discostano dal comune sentire della massa, appaiono eccentrici e bislacchi. Il pensiero unico dominate non fa sconti, e prova a emarginare e ghettizzare tutto ciò che da esso si discosta. Il risultato, ciò nonostante, a volte è strabiliante, quando caparbietà e convinzione nelle proprie idee risultano più forti dei vari tentativi, surrettizi o palesi, di omologazione. Del resto, non è forse vero che nelle diversità si celano ricchezza e genialità? I più grandi protagonisti del secolo cosiddetto breve, nel campo delle arti e delle scienze, della medicina e dello sport, della politica, della musica, del cinema e della letteratura, non furono etichettati come stravaganti, visionari, sognatori, utopisti, a volte anche folli se non addirittura pazzi? Einstein, Lenin e Che Guevara, George Best che da calciatore estroso e formidabile condusse una vita dissennata sperperando una fortuna in alcol, donne e macchine sportive, David Lynch e il suo surrealismo dietro la cinepresa, Freddie Mercury, il pittore Antonio Ligabue, la poetessa Alda Merini. Se la storia fosse stata spietatamente selettiva verso la cosiddetta anormalità, certi comportamenti divergenti e disallineati sarebbero stati estromessi, negando all’umanità il privilegio di godere di imprese epiche, scoperte impensabili, espressioni artistiche straordinarie e follie geniali. Io credo che il bullismo, fenomeno di cui si discute tanto eppure non ancora abbastanza, rappresenti una versione aggiornata e degradante del tentativo di soffocare e reprimere ogni soggettività “diversa”, originale e non omologata. Mi capita, di sovente, di assistere a certi comportamenti tra adolescenti che trovo riprovevoli: ragazzini o ragazzine presi di mira perché troppo magri, troppo bassi, troppo grassi, non vestiti alla moda, non in possesso dello smartphone ultratecnologico, o anche perché troppo educati, sensibili o semplicemente timidi. E’ il portato di come la società in cui viviamo modella stili di vita e comportamenti, orientati al successo e alla carriera, all’essere perfetti secondo canoni di perfezione in ossequio ai quali vengono considerate sconfitte o fallimenti il semplice discostarsi dalle abitudini imposte e tacitamente accettate. Davvero un mondo balordo, dove chi non si allinea viene escluso e emarginato, etichettato come marziano da evitare. Ora, mio figlio sta imparando la fisarmonica (strumento non certamente “cool” tra gli adolescenti), non presta particolare attenzione al look (anzi, non gliene frega proprio nulla), ascolta tra gli altri anche De André e musica anni ’80, non segue il calcio (ahi ahi ahi… questo addolora soprattutto me), ha portato dignitosamente per un anno il busto per correggere una cifosi alla schiena. Nel mio piccolo, ho sempre cercato di trasmettergli l’importanza di perseguire fortemente nei progetti in cui crede, di non rinnegare le sue passioni, di difendere ad ogni costo la sua dignità. Anche contro le battutine offensive di qualche sua coetanea, “la più carina, la più cretina” per dirla alla Venditti…

Il bullismo è una piaga a tutti gli effetti, non soltanto tra adolescenti: è bullo chi impone con prepotenza il proprio modo di pensare a prescindere dall’età, è bullo il capufficio che mortifica l’impiegato, è bullo chi deturpa il bene comune, chi passa col semaforo rosso, chi maltratta gli animali, è bullo persino il genitore che, in buona fede, adotta comportamenti repressivi materialmente o psicologicamente nocivi verso i figli. Ma questa è un’altra storia, per molti versi tragica: un padre e una madre sbagliano sempre per definizione, e sempre a fin di bene. Anche quando, disperati a torto o a ragione, chiamano la Guardia di Finanza…

A proposito di mese breve, il 19 ricorre l’anniversario di morte di due personaggi, diversi tra loro, che hanno segnato il mai tanto sufficientemente rimpianto secolo breve, epoca di trasformazioni, di emancipazioni vere, di conquiste di civiltà e di arte letteraria. Pietro Mancini, primo deputato socialista calabrese, morto a Cosenza il 19 febbraio del 1968, e Umberto Eco, scomparso l’anno scorso nel medesimo giorno. Il primo, insieme a Fausto Gullo, diede impulso e combatté per l’occupazione delle terre a favore dei contadini e contro il potere dei latifondisti, fu tra i fondatori del Partito Socialista in Calabria in un periodo storico in cui le idee marxiste e di rivolta erano ignorate se non addirittura osteggiate dai rapporti sociali di deferenza verso i grandi proprietari terrieri. Idee, le sue, minoritarie e apparentemente perdenti sul nascere, a conferma che quasi mai il pensiero dominante è per definizione il migliore. Oggetto di aggressioni squadriste e costretto al confino in periodo fascista, fu deputato in due legislature, prefetto di Cosenza, ministro dei Lavori Pubblici nel ’44 e infine Senatore della Repubblica. Quando capito al cimitero di Cosenza a far visita ai miei parenti, guardo sempre con senso di profonda ammirazione e rispetto la sua tomba. Del grande Umberto Eco, al di là dei suoi romanzi, dello spessore culturale del personaggio, dell’apporto linguistico e filosofico con cui contribuì in maniera fondamentale all’evoluzione della lingua italiana, mi piace ricordare una delle sue frasi più celebri: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.

Anche l’esortazione alla lettura, in tempi come i nostri, è un invito rivoluzionario, anticonformista e controcorrente…