Equivocanti divagazioni

“La madre di tutte le bombe!”.

“Chi?”.

“Trump”.

“La madre di Trump, tromba?”.

Storie di equivoci serali, guardando il telegiornale, cenando. Dialogo muto tra il sottoscritto attuale e quello che diventerà tra una quarantina d’anni, vecchio sordo e rincoglionito, se tutto va bene. Quando i libri di storia racconteranno di un folle che, diventato non si sa come presidente degli Stati Uniti, scatenò guerre in Siria, Corea del Nord, Afghanistan e chissà dove. Utilizzando armi sempre più pericolose, sempre più letali e devastanti. Comportandosi da gradasso ignorante, da chi ha il potere di premere un pulsante per scatenare un conflitto nucleare. Facendo prevalere la forza, accantonando la diplomazia, attingendo a piene mani dalla sua arroganza, dalla sua tracotanza, dalla sua protervia. Un grassoccio biondo-tinto pieno di sé che crede di essere autorizzato da soldi e potere per decidere autonomamente ciò che è giusto fare per il mondo, un omuncolo frustrato che si sente in diritto di lanciare bombe dove più gli aggrada. Un dittatorello della peggiore specie che ha deciso di impersonificare la cura contro quelle che lui reputa piaghe. Che si arroga il diritto di dividere l’umanità in buoni e cattivi, collocandosi senza alcun imprimatur a capo dei primi. Se non è terrorismo questo…

“Lo vedrei bene in alta uniforme, decorato, armato di colt e con un look più aggressivo…magari un bel paio di baffi da cow-boy…o una barbetta…”.

“Fanno un buon caffè!”.

“Dove?”.

“Al bar della signora Betta, in centro”.

“Ma non bar Betta…cos’hai capito?? Barbetta tutto attaccato! E comunque io preferisco frequentare il bar Cone”.

Quello in memoria dei tanti disperati che muoiono alla ricerca della salvezza, della dignità, della pace. A largo della Libia, l’ultima tragedia annunciata ne conta un centinaio, di morti. Il naufragio dell’ennesimo barcone (tutto attaccato…anzi no…spezzato dal peso del carico dei migranti), colmo all’inverosimile di poveri cristi.

“Io di Agatha Christie ho letto tutto! Adoro i gialli!”.

“Ti piacciono i cinesi?”.

“Tutti i gialli, tranne quelli che hanno acquistato il Milan e prima ancora l’Inter…e prima ancora hanno colonizzato con i loro bazar gran parte della penisola. Fa bene Agnelli che tiene duro!”.

“Fino a un certo punto, dipende…è vero che vanno rispettate tutte le opinioni, ma vederne cinque di agnellini tra le braccia di Berlusconi che li allatta col biberon, mi ha fatto un certo effetto…!”.

La svolta animalista del Cavaliere ha del patetico. Cosa non si fa per conquistare le prime pagine dei giornali. Premesso che resto un convinto amante degli animali, ma l’estremizzazione del non cibarsi di carne di agnello e certe crociate di stampo “vegano” proprio non le sopporto. L’atteggiamento volto a impietosire, quelle foto struggenti di caprette festanti al pascolo, il voler veicolare sensi di colpa per il semplice esercizio del nutrirsi sortiscono in me l’effetto contrario: mangerei tutto il giorno carne alla brace e arrosti misti di ogni ordine e specie. Devo confessare che purtroppo, mio malgrado e senza averne il più pallido sospetto, diversi anni fa in Albania, nei pressi di Durazzo, mangiai con alcuni amici carne di cane allo spiedo…lo scoprimmo a pasto consumato e in avanzata fase di digestione. Incidenti di percorso, mi consolai pensando che nella vita si può incorrere in situazioni all’apparenza ben più scomode. Come quando quella volta in Romania, bloccati nello sperduto paesino di Sulina sul delta del Danubio, fummo costretti a pernottare in modestissimi alloggi perché l’unico battello in grado di riportarci a Tulcea sarebbe ripartito all’alba del mattino successivo. Sulina è il luogo abitato più ad est dell’Europa continentale, il Danubio la separa dall’Ucraina. Il paesaggio naturale è a dir poco spettacolare, la fauna che abita le acque del delta è composta da animali, uccelli, rettili che manco un documentario di Discovery Channel.  Il villaggio conta poco meno di cinquemila anime, copertura elettrica non superiore al 40% (di fatto solo il piccolo ormeggio al porticciolo, le poche botteghe nei dintorni e le quattro abitazioni dei pescatori), assenza di illuminazione pubblica, case in pietra prive di pavimentazione e, insomma, una situazione non proprio agiata per i nostri standard abituali. Eppure, ricordo con grande ammirazione la dignità della famiglia che quella notte ospitò me e i miei due amici in cambio di pochi “Leu”, la moneta ufficiale romena. Dopo esserci sistemati e prima di uscire per alimentarci nell’unica taverna del borgo, la famigliola romena aveva appena finito di consumare la cena, e la signora era intenta a passare la ramazza sul pavimento in terra battuta della cucina… Nessuna televisione, fornellini a gas da campeggio, mobilio in legno pesante per lo più consumato dai tarli. Più tardi, per strada, immersi nell’oscurità della notte, avvertimmo dei movimenti sul viottolo che scoprimmo essere delle rane, un’infinità di rane che saltavano dappertutto, sulle scarpe, sui pantaloni… Quella notte non chiusi occhio, a causa delle zanzare e del caldo. Ma uscii arricchito da quell’esperienza.

Ora, non so di preciso come e perché sono arrivato a scrivere di Sulina, o forse sì. La bellezza autentica della semplicità, della genuinità, lontano da bombe, tragedie dell’immigrazione e ipocrisie dilaganti. Distante da soldi e potere, semplicemente a stretto contatto con la natura selvaggia. Esiste un altro modo di intendere la vita, e va ricercato e perseguito per evitare di fare la fine del Titanic, che giusto 105 anni fa come oggi colava a picco, mentre i passeggeri danzavano il valzer e brindavano ignari. Questo altro mondo esiste e basta cercarlo dentro di noi, senza dover per forza avventurarsi fin dove il Danubio sfocia nel Mar Nero.