C’è qualcosa di metempirico in un sabato notte d’agosto passato a girare in macchina per le deserte strade della città. Semafori lampeggianti al giallo, locali per lo più chiusi e orfani della chiassosa abituale movida, ordine e silenzio surreali quasi a sancire il distacco dalla realtà conosciuta e favorire il trasferimento corporeo e mentale in una dimensione altra. Mi piace. Hai il tempo e lo spazio necessario per guardarti intorno, dentro e fuori. Per cogliere aspetti e sfumature altrimenti non considerati. L’atmosfera è piacevole, l’autoradio diffonde brani tratti da un vecchio long playing di Sergio Caputo, i cui testi rappresentarono, nell’epoca ormai lontana della mia adolescenza, fonte di ispirazione per la carica ironica e le storie da jazz metropolitano arricchite di intriganti giochi di parole, suggestive metafore, esilaranti perifrasi. Le canzoni mi riportano con la mente ai primi anni ‘90, mi sembra quasi di recuperare odori, istanti e frammenti, visioni e colori, ma proprio quando sto per focalizzare l’attimo, questo mi sfugge, diventa inafferrabile. Come se mancasse qualcosa, come se ci fosse un qualche elemento ormai perduto del quale avverto l’assenza ma non riesco a definirne contorni e consistenza. In altre parole, sono consapevole di quel qualcosa che non riesco a inquadrare per riproporre fedelmente l’atmosfera di trent’anni fa, e pur percependone a tratti sfumature e sensazioni, mi riesce impossibile da cogliere.
L’incipit del pezzo di questa settimana è datato di un mese, avevo iniziato a comporlo “a caldo” in piena notte, trascrivendo certe emozioni soffuse avvertite a finestrini aperti durante un giro notturno a vagabondare senza programmi predefiniti né destinazione. Poi, non si sa perché, non avevo pubblicato, e l’articolo era finito nel dimenticatoio. Oggi mi sembra il momento adatto per proporlo, perché ha il potere di contrapporre una certa serenità incosciente con l’inquietudine dilagante nella quale viviamo, in questo nostro abituale tempo caotico, fatto di confusione mentale e contraddizioni profonde. E’ l’era della paura. Paradossale che rispetto a trent’anni fa, oggi abbiamo riscoperto timori ancestrali che sembravano superati. Ci terrorizza il morbillo, che quando ero bambino, ricordo, i nostri genitori consideravano un semplice fastidioso contrattempo che al più ci costringeva a perdere qualche settimana di scuola. Se beccava il virus mio fratello, l’ordine tassativo era quello di stargli il più vicino possibile, affinché ce lo si potesse togliere di mezzo in epoca fanciullesca. Oggi il morbillo è un dramma, e il dilemma “vaccinazione sì, vaccinazione no” assilla di dubbi esistenziali le scelte familiari in ordine a una corretta profilassi. Paure nuove opposte a ritrovate malattie antiche. Come la malaria. O come i malanni stagionali che l’autunno porta in dote.
Le stagioni diventano crocevia importanti. Una volta non esisteva tutta questa attenzione verso il meteo. Pioveva e la raccomandazione era quella di munirsi di ombrello. Punto. Era più bello, non si era sclerotizzati dalle previsioni meteorologiche oggi così istericamente consultate. Siamo afflitti dall’esigenza di dover conoscere tutto in anticipo. L’icona del tempo era incarnata dalla faccia sempre sorridente di Bernacca. Al tempo attuale, alla minima avvisaglia di nuvole nere scatta l’allerta meteo. Bollino rosso, bollino arancione, bollino nero. Il pericolo è sempre nascosto dietro un acquazzone di media intensità. Il tempo al tempo dei bollini.
La modernità ha accresciuto il grado di frenesia, di ansia, di preoccupazione. Siamo tutti più tecnologici ma, al contempo, più fragili, più esposti, più vulnerabili. Hanno creato soluzioni e comodità a portata di mano, generando incontrollabili effetti collaterali, stravolgendo ritmi e abitudini, destrutturando comportamenti e incrinando certezze; sappiamo di tutto, ci occupiamo di tutto, ci preoccupiamo di tutto. Tutto diventa cruciale per le nostre vite periferiche da basso impero: dagli esiti del voto referendario in Catalogna alle elezioni politiche in Germania. Ma forse è giusto così, nel mondo globalizzato uno starnuto nel Wisconsin può avere riverberi decisivi anche a San Benedetto Ullano.
Dove e come possiamo ritrovare equilibrio e serenità di giudizio? E, soprattutto, chi può donarci prospettive felici? Per adesso solo “Poltrone&Sofà”, che da metà settembre ci ricorda a mezzo video che per loro è già Natale…