Cosangeles – Paride Leporace

Si dice che le vite di tutti gli uomini, anche quelli comuni, se analizzate al microscopio rivelino tratti epici e scenografie da film di successo. Nel suo “Cosangeles”, Paride Leporace sostanzia tale premessa rielaborandone vicende ed episodi sul proscenio di una provinciale città calabrese qual è Cosenza. E infatti, personaggi ordinari che si muovono in un territorio periferico, lontani dalle luci della ribalta delle grandi metropoli alla moda, assurgono al ruolo di protagonisti nelle loro parabole di vita irregolari e deviate. E protagonista diventa quel luogo, quel contesto, quell’ambiente che quei personaggi li ha prodotti e generati: Cosenza, da provinciale e periferica città del profondo sud, si trasforma in Cosangeles, città provinciale e periferica del profondo sud in grado, però, di regalare storie e aneddoti di vita degni della provincia più vera, autentica, non filtrata dalle luci della ribalta, non condizionata dai riflettori della notorietà. Uomini, le cui vite e imprese quasi mai esemplari (ma la bellezza e il mito, si sa, stanno nell’imperfezione e non nel suo opposto), destinati all’oblio per chi vive lontano dai confini cittadini, diventano protagonisti omerici di viaggi e situazioni di stampo Felliniano. La provincia dimenticata di un impero in fase di transizione, a cavallo tra i settanta e gli ottanta del secolo breve, riesce a stupire, a emozionare, a immalinconire, a far sorridere e riflettere. Rose, coltelli, lambrusco e pop corn per quelli della via Emilia di Guccini e Ligabue; vino, coltelli, canne, siringhe, morte e vita che si intrecciano in un valzer borderline dai contenuti tragici e romantici, per Jo Pinter e Ciccio Paradiso. Provincia la via Emilia, provincia Cosangeles, con quel tocco di ambizione e illusione che catapulta quest’ultima nell’oppiaceo universo di un’allucinante immortalità. Personaggi mai caricaturali, situazioni di vita reali, specchio e riflesso di un’epoca di sogni naufragati e desideri di rivalsa e riscossa traditi, manifesto esistenziale e affresco popolare dipinto con il timbro narrativo di chi delle proprie origini ne ha fatto un marchio di fabbrica e un tratto ineludibile di una appartenenza cosangelina esibita nell’orbita della personale parabola di vita. La rivincita, la sublimazione e l’esaltazione legittima della provincia, dei suoi riti e delle sue liturgie, delle ambizioni e dei personaggi che ne hanno scandito, spesso da comprimari, una fase storica. Sempre in precario equilibrio tra l’essere e il voler diventare, tra cantine e locali alla moda, tra macchine sportive e belle donne appariscenti, tra pistole e lame. Di nuovo, tra vita e morte.

Signore e signori, benvenuti a Cosangeles.