Perchè l’età è una convenzione

Succede che qualche sera fa, tornando a casa dopo la solita giornata di lavoro, in una traversa del centro mi trovo costretto a fermare l’andatura della mia auto perché una piccola utilitaria parcheggiata in doppia fila, con la portiera del passeggero spalancata, ostruisce la carreggiata. Spazientito, dopo alcuni secondi di attesa do qualche colpetto di clacson, già predisposto a lanciare uno sguardo di profondo disappunto al cittadino dallo scarso senso civico che, penso, per una qualche banale motivazione non si è posto alcun problema impedendo col classico parcheggio selvaggio la normale circolazione. Guardo a destra e a sinistra, nulla. Alzo gli occhi verso lo specchietto retrovisore, una discreta fila di autovetture si è incolonnata dietro di me. Qualcuno già ha iniziato a suonare con una certa insistenza. Sto per farlo anch’io, incoraggiato dall’immagine che va delineandosi nella mia mente del giovanotto strafottente trattenuto al bar dagli amici o della signora troppo occupata nello shopping pomeridiano e dunque poco avvezza al rispetto verso gli altri.

Fortunatamente non faccio in tempo.

Dal laboratorio ortopedico alla mia sinistra, notato solo in quella frazione di secondo, escono una signora anziana che a testa bassa, con un delicato senso di pudore, si dirige lentamente verso la macchina in sosta e un uomo all’incirca della mia età, ben vestito e dall’aria giovanile, che tiene sottobraccio un altro anziano. Quest’ultimo, aiutandosi con un bastone e mostrando tutti i segni della vecchiaia, indossa un paio di bermuda che lasciano scoperte due gambe magrissime e bianche, trema vistosamente, la schiena disegna un semicerchio che lo porta col viso a una decina di centimetri dalle ginocchia. Si muove con una lentezza indescrivibile, come se fosse sul punto di crollare da un momento all’altro. L’uomo più giovane mi guarda, sorridendo mi chiede scusa per l’attesa e prosegue nel suo compito di supporto all’anziano, credo, genitore. Inutile dirlo, l’immagine mi ha stretto il cuore, provocando in me un senso di profonda vergogna per l’impazienza che mi aveva assalito fino a pochi attimi prima e per le banali congetture che mi ero costruito. Ho sorriso imbarazzato anche io, vittima di quella malinconia contagiosa che, se fosse stato necessario, mi avrebbe portato a sopportare senza disturbo un’attesa finanche di un’ora.

Viviamo male, troppo presi dalla fretta, dalla frenesia, da chissà quale maledetto impulso di dover velocizzare ogni tipo di attività: il pasto, il sonno, il lavoro, il tempo libero, i sentimenti, l’amore, persino lo svago. E non valorizziamo per come dovremmo ogni singolo istante della nostra già breve esistenza.

Ho un debole per gli anziani, per chi ha accumulato nel corso di una vita saggezza e esperienza, nutro un rispetto e una venerazione profondi per le persone di una certa età, quando della vita, per dirla con Guccini, “la paghi tutta, e a prezzi d’inflazione, quella che chiaman la maturità”.

E dunque, prendendo spunto dall’episodio, ho eletto a parola della settimana il termine “anziano” o “vecchio”, anticipando di un mese quella che ogni 2 ottobre, da qualche anno a questa parte, si celebra come la festa dei nonni.

Troppo spesso non ascoltiamo, sottovalutiamo consigli, sorridiamo ironicamente. La vecchiaia viene considerata un ostacolo, uno spreco di risorse (le pensioni rubano il denaro da destinare al lavoro dei giovani), una noia da celare. Eppure sotto i nostri occhi deformati da questo insulso stile di vita compulsivo che ci pervade, si manifestano giornalmente esempi lungimiranti di profonda saggezza che aspettano solo di essere colti e capiti.

Prendiamo il discorso tenuto in settimana dal quasi ottantenne re Harald di Norvegia: mentre in tanta parte d’Europa, da Londra a Budapest passando per Repubblica Ceca e Austria, si progettano e si costruiscono muri contro gli immigrati, e in Germania l’ultradestra nazista e xenofoba avanza pericolosamente nelle elezioni amministrative, il sovrano scandinavo ha commosso la folla impartendo una lezione di civiltà con un messaggio di inclusione, rispetto e accoglienza: “Siamo tutti norvegesi, etero e gay, cristiani e musulmani, chi è nato qui e chi è immigrato”. Altro che vecchio!!! Più moderno di così!!!

La vecchiaia è solo una comoda convinzione mentale che si traduce in un alibi per chi non vuole ascoltare. Al contrario riserva profondità di vedute e orizzonti di sconfinata saggezza. Come quella del maestro Andrea Camilleri, autentico gigante della letteratura contemporanea, che qualche giorno addietro ha compiuto 91 anni: un anziano giovanissimo. Ed è un peccato che l’aids abbia stroncato appena quarantacinquenne Freddie Mercury, genio solista dei Queen, che se fosse rimasto in vita avrebbe festeggiato 70 anni lunedì scorso. Ancora oggi, ascoltandolo, non si riesce a non commuoversi. L’arte e il talento non hanno scadenza.

Si potrebbe continuare all’infinito, citando esempi a noi più vicini come genitori, nonni, zii. Basta avere la pazienza di ascoltare, la volontà di capire, di andare anche oltre le parole, fare tesoro di ogni insegnamento. Ma noi siamo troppo moderni, abbiamo cose più importante da fare e da pensare, altro a cui dedicare il nostro prezioso tempo. E siamo sempre pronti a suonare i nostri potenti clacson.

Sapete cosa penso? Che quel bidello americano, scomparso quattro giorni fa all’età di 92 anni, ha preso la decisione più giusta quando ha deciso di lasciare tutti i risparmi accumulati in vita, ben 8 milioni di dollari, alla biblioteca e all’ospedale del paesino dove viveva. Cultura e sanità, due capisaldi che preservano la mente e il fisico dagli acciacchi del tempo.

E che, riguardo alla cultura, rende immortali.

Come sono rimaste immortali le parole di Cesar Vallejo, uno dei più grandi poeti del ventesimo secolo, peruviano di nascita ma dal linguaggio universale, anche lui scomparso troppo presto: “Fino a quando staremo in attesa di ciò che non ci spetta?”