C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole?

Qual è la prima parola che pronunciamo la sera, quando rincasiamo dopo una giornata passata fuori, a lavoro o semplicemente in giro? Facile: “ciao” (lasciando trasparire sollievo per il rientro), o “tutto bene” (in forma interrogativa). E la seconda?

E ancora, qual è la prima domanda che formuliamo quando la mattina, dopo aver educatamente salutato, rivolgiamo al collega in ufficio, all’amico che incontriamo per caso al bar, al familiare che ci telefona dopo un lasso di tempo più o meno lungo? La risposta risiede nella semplice quanto spontanea e immediata domanda: “novità”? E nel pronunciare questo trisillabo, spesso con l’atteggiamento euforico tipico di chi si accinge a sfogliare l’album di foto del matrimonio del vicino di casa, già rivolgiamo il nostro pensiero a quello che da lì a poco saremo impegnati a fare. Non ci aspettiamo nulla di clamoroso, ma neppure qualche rivelazione lontanamente assimilabile a una capriola priva di salto carpiato degna di un bambino di tre anni. Chiediamo “novità” senza aspettarcene né, probabilmente, sperando di riceverne.

Perché le “novità” non sempre coincidono con novelle positive o rassicuranti. E, visti i tempi, è già tanto che le cose rimangano così come sono, prive di stravolgimenti o scossoni. La rinuncia alla speranza di qualcosa di nuovo, nel timore di veder peggiorate le cose a causa di qualche inaspettata cattiva notizia, è indice del sentimento di latente preoccupazione che pervade l’animo tumultuoso dell’uomo medio contemporaneo. Del resto, quali potrebbero essere le “novità” in rampa di lancio, pronte ad essere entusiasticamente rivelate, sotto forma di pacco regalo, al coniuge di rientro tra le mura domestiche? L’arrivo di una bolletta del gas inaspettatamente cara? La rottura improvvisa di un elettrodomestico? Il tamponamento dell’auto nel traffico cittadino? Una cartella di Equitalia? Ma, a proposito, Equitalia resta o, per contrappasso, torna da Pontassieve come una sorta di rigurgito acido da cattiva digestione?

Fino a una ventina di anni fa, un evento imprevisto come quelli succitati, era tranquillamente ammortizzabile dal bilancio familiare. Oggi, la semplice quanto imprevista e improvvisa rottura del frigorifero o della lavatrice, comporta una ridefinizione complessiva della programmazione di spesa, alla stregua di un business plan aziendale prospettico o di una manovra correttiva del bilancio dello Stato. Gli ultimi dati Istat ci confermano che la povertà in Italia è cresciuta del 141% negli ultimi dieci anni, e oggi coinvolge quasi cinque milioni di persone. Nella morsa dell’indigenza sono coinvolti disoccupati e pensionati al minimo, ma anche famiglie della cosiddetta classe media che non arrivano, o stentano a farlo, alla fine del mese. Una “novità”, questa? Non direi, se non nella misura che la situazione si è di molto aggravata, a conferma che il detto “nessuna nuova, buona nuova” è sempre più attuale.

Nel frattempo è arrivato il Natale, ma a ben pensarci, non è una “novità” neppure questa, perché di norma arriva sempre, di solito una volta all’anno. E immersi in un’aria obbligatoriamente festaiola per decreto, tra lucine colorate intermittenti e palline decorative sempre uguali, ci apprestiamo a celebrare i soliti riti: lo scambio di regali sempre meno costosi e spesso inutili, abbuffate alimentari che contrastano con animi a dieta afflitti da mille pensieri, auguri e brindisi con disinvolta noncuranza del tempo che è stato e di quello che sarà, mentre con un cannocchiale inforcato alla rovescia ci accorgiamo di scrutare poco e male il futuro rappresentato dall’imminente nuovo anno.

Del resto, per dirla profeticamente con Lucio Dalla, “l’anno che sta arrivando, tra un anno passerà, io mi sto preparando, è questa la “novità””. Ma del Capodanno avremo tempo di parlarne, per adesso stiamo all’attualità: taxi gialli squarciano il buio della notte, caffè notturni ospitano visitatori senza tempo che ingannano loro stessi, in compagnia di bottiglie di scadente rum e nuvole di sigari di buon tabacco cubano, storie e intrecci di eterogenea umanità. Visi, espressioni e atmosfere che ci provengono da schermi piatti o libri noir, utili a tenerci compagnia nelle fredde notti d’inverno, aiutandoci a superare il delirio vuoto e piatto di certe nostre giornate, troppo spesso uguali e ripetitive. Noi, costantemente alla ricerca, per riflesso condizionato e nel contempo impauriti, di eventuali “novità”. Abbiamo bisogno di evadere, almeno per qualche ora, il tempo necessario per alimentare sogni e fantasie. Perché la realtà, a ben vedere, di spazio ce ne lascia poco, propinandoci come nuovo il vecchio, spacciando l’usato nemmeno troppo sicuro per certezza garantita, usando l’arma del restyling per riverniciare cattive esperienze poco esaltanti. Sto parlando del “nuovo” governo Gentiloni? Quello che, per citare il Gattopardo, “cambia tutto per non cambiare nulla”? E dunque, di che “novità” sto parlando? Funziona così da una vita. Non ci meravigliamo più di nulla. Dove sta il cambio di spartito, se l’orchestra è sempre la stessa e la musica continua a riproporre la stessa insopportabile litania? Il sud da trasformare in volano di sviluppo, la disoccupazione primario problema da aggredire e risolvere, gli aiuti alle famiglie in difficoltà, gli sprechi da combattere: ma che belle “novità” originali!!! E l’alternativa quale sarebbe? Il modello pentastellato Roma, per caso?

Mettiamola così, in assenza di vere e piacevoli “novità” esogene, l’unica soluzione è quella di provare a costruirceli da soli certi momenti. Imponendoci di rallentare i nostri ritmi di vita, riscoprendo il piacere delle piccole cose che spesso ci sfuggono, sforzandoci di modificare consuetudini imposte da modelli preconfezionati. Troppo spesso consideriamo dovuto o scontato ciò che abbiamo ottenuto con sacrificio e sudore, salvo poi ricrederci non appena il minimo episodio incrina certezze all’apparenza inscalfibili. Lunedì prossimo, dopo aver provveduto a disdire un paio di impegni, parteciperò con entusiasmo ad una festa organizzata in quella struttura cosentina, di cui scrivevo qualche settimana fa, che ospita bambini e ragazzi orfani o provenienti da famiglie indigenti con problemi di violenza tra le mura domestiche.

Perché solidarietà e umanità continuino a fare rima con “novità”.