Pagine di vita

“E qualcosa rimane, tra le pagine chiare…” sostiene De Gregori. Ma è veramente così? Sarà per davvero così? Cosa resterà di noi, impresso sulle pagine chiare ma tutt’altro che immacolate, della nostra vita? Quali eventi voluti, quali accidentali, quanti scarabocchi, quante felici intuizioni, e poi arzigogoli, metafore più o meno riuscite, perifrasi azzardate, infinite iperboli, maldestre correzioni, errori di valutazione e di ingenuità, supercazzole varie. Pericolose elucubrazioni, parole a vanvera sputate senza riflettere il giusto, uscite infelici, salti mortali carpiati in assenza di paracadute o telone di salvataggio. Siamo acrobati spericolati sempre in bilico tra il dire e il fare, avventurosi equilibristi delle parole raramente misurate, a spasso sul crinale scivoloso di impervi strapiombi lessicali di cui non vediamo il fondo. Eppure siamo qui, e continuiamo a riprovarci, incuranti del pericolo e dei rischi. Abbiamo pagine bianche da riempire ogni giorno, di fatti, parole, concetti e azioni. E non possiamo esimerci dal farlo. Perché quelle pagine sono l’essenza stessa della nostra esistenza, l’aria che respiriamo. Il filo conduttore, ciò che ci separa dall’essere vivi e dal non essere nulla. Siamo le figure allegoriche di noi stessi, le caricature a volte mal riuscite, viviamo separati intimamente tra esagerate circonlocuzioni e imbarazzanti sintesi minimaliste e riduttive. Spesso fuori tempo e fuori luogo. Gli incastri ci vengono fuori male, gli anagrammi ancora peggio, gli aforismi non ne parliamo proprio. E che dire delle sciarade, dei polisensi, degli indovinelli:

“Forse è solo suggestione/forse è già qualcosa in più/ma in siffatta situazione/la bustina non va giù. Quando prendi il raffreddore/e la febbre ti tormenta/tu telefoni al dottore/per far sì che essa scenda. Lui ti visita per bene/guarda la gola che osserva diretta/poi, col corpo tuo che freme/ti prescrive la ricetta. Tra sciroppi, compresse e supposte/tu lo osservi in rigida posa/lui che procede senza far sosta/nell’indicare farmaci a iosa. Ma tra tutte le medicine/ce n’è una che contrasta il tuo io/ “quella è troppo, venga pure la fine/nessun cedimento alla presenza di Dio!”. Sarà per ossequio alla coerenza/e certamente all’idea di purismo/ma a quel farmaco e alla sua essenza/dovea rinunciar per convinto ateismo. Ora a voi tocca scoprire/di quale farmaco si tratta/con certezza di finire/tra una dicitura matta.”

Ognuno riempie le pagine a modo suo, a chi riesce bene e chi, al contrario, insiste nel farlo male. Nella maggioranza dei casi, però, galleggiamo a metà. Il romanzo che scriviamo ogni giorno, di cui noi stessi siamo protagonisti, alterna situazioni emotivamente distanti tra loro. Il libro metaforico della vita.

Poi ci stanno i libri veri, quelli che ho scritto a partire dal 2010, anno d’esordio. Ad oggi sono quattro, e a ognuno di essi sono legato in maniera diversa ma ugualmente viscerale. “False apparenze” rappresenta la scommessa iniziale, il primo passo nell’ambiente letterario e in particolare nella categoria dei racconti gialli afferenti al filone classico, quello dove, per intenderci, intuito e rigore logico vanno sempre rispettati ad ogni costo. Di “False apparenze”, oltre all’intreccio, mi è particolarmente piaciuto il giochino legato alla parola “feedback” e al suo significato, come pure l’arma poco convenzionale utilizzata per compiere uno dei delitti della storia. Poi, dopo tre anni, nel 2013, è stata la volta de ”L’esca di Alarico”: anche in quella narrazione, che ruota attorno alla figura storica del re Visigoto seppellito (pare) a Cosenza, un paio di giochetti logici hanno stimolato la mia fantasia. Nel 2016 “Alle basi della colpa”, con la vicenda della doppia profanazione di due diverse tombe situate nella cappella mortuaria appartenente alla medesima famiglia, intuizione liberamente tratta da un evento reale verificatosi qualche anno prima nel cimitero di un paesino in provincia di Cosenza. Infine la mini-antologia del 2017, “Quell’estate con Marcillei”, contenente “Il mercante in fiera”, storia di un serial killer ossessionato dai social, e “Sapore di sale”, vicenda torbida ambientata in un resort della costa jonica cosentina. “Il mercante” è nato come esperimento estivo, pubblicato online a puntate, nel quale molti di voi sono stati protagonisti effettivi. Quattro libri e qualche raccontino breve disponibile sul mio sito internet Giuliobruno.it nella relativa sezione dedicata. Grazie a questa mia passione, ho imparato tanto e tanto mi è stato trasmesso. Dopo il primo libro, alcuni lettori mi fecero notare che una descrizione più dettagliata di Cosenza avrebbe aiutato coloro che, non conoscendo di persona i luoghi d’ambientazione dei miei romanzi, avrebbero potuto meglio apprezzare i posti in cui si svolgevano i fatti. Nell’”Esca” li ho accontentati, come pure ho seguito i suggerimenti di chi mi chiedeva notizie più approfondite sulle vite dei personaggi di contorno. Detto, fatto. Con “Alle basi della colpa” ho voluto sfidare i lettori, correndo il rischio di svelare la soluzione dell’intrigo in anticipo sui normali tempi di costruzione della trama: per fortuna è andata bene. In ultimo il “Mercante”, con l’esperimento del coinvolgimento dei lettori nella storia, iniziato per gioco senza avere lo straccio di un’idea di partenza su come impostare la sequenza; l’incoscienza mi ha permesso di sviluppare un racconto “in itinere”, attingendo a molte nozioni apprese durante il corso di criminologia frequentato alcuni mesi prima.

Pagine riempite, che hanno riempito la mia vita. Come il sito internet curato da mio fratello Gigi, come il profilo Facebook che mi tiene in contatto con tutti voi. E come spero sarà questa mia nuova pagina Facebook, sulla quale settimanalmente posterò i miei articoli di attualità sport e cultura, le recensioni dei libri che mi entusiasmano, le notizie che riguardano la mia attività di romanziere dal futuro incerto e nebbioso, tra mille sigari e altrettanti dubbi.